Mentre procede il lavoro attorno a #CivicHackingIT, mi è capitato di rileggere il capitolo conclusivo del libro “Beyond Trasparency”, da cui estraggo questo passaggio:
(i grassetti sono miei)
To address […] and realize future opportunities, a key lesson from these narratives must be taken to heart. Data is at best a tool—sometimes a blunt one—and tools are only as good as their operators. The open data movement must look not only beyond transparency as an end goal, but beyond any single constituency as operators. “How to open data” is not only a question for governments, and neither is “what to build with it” one for civic startups. New York City has pioneered some of the most impressive applications of data analytics, while BrightScope has opened up millions of rows of data. The Smart Chicago Collaborative, Philadelphia’s Chief Data Officer, and SmartProcure have all used data to advance policy reform. Civic hackers and journalists have played a critical role in making data more meaningful and available.
There are countless other examples—many detailed in this anthology—of unexpected open civic data operators from all facets of our society. In this way, open data has served to blur the lines between our public and private lives, to reconnect the consumer, citizen, and civil servant. When looking ahead, this may be part of open data’s greatest legacy: the emergence of a new kind of connective tissue that enables us to create governments of the people, by the people, that work in the 21st century.
Pur essendo stato scritto nel 2013, è un passaggio ancora molto attuale: anzi, forse è un elemento chiave che serve riprendere. Per noi (io ed Erika intendo) quel tessuto connettivo è andato ben oltre l’Open Data e ha preso le spoglie di quella pratica conosciuta come civic hacking.
Ma cosa diamine è davvero il civic hacking?
Avevo accennato qualcosa nel post precedente, citando un breve video della Sunlight Foundation: questa volta parliamo dell’intervento al TED di Catherine Bracy, “Why good hackers make good citizens“, datato settembre 2013.
Ho inserito la versione sottotitolata in italiano, così è più semplice da seguire. Estraggo alcune parti dalla trascrizione in italiano:
L’hacking è una qualsiasi innovazione amatoriale su un sistema esistente, ed è un’attività profondamente democratica.
Si tratta di pensiero critico. Si tratta di mettere in discussione il modo comune di fare le cose. È l’idea che si vede un problema, si lavora per sistemarlo, e non ci si lamenta soltanto.
[…]
Ma prima di farvi qualche esempio di quelli che sono strumenti di hacking civico, voglio mettere in chiaro che non dovete essere programmatori per essere hacker civici. Dovete solo credere di poter portare gli strumenti del 21esimo secolo per sostenere i problemi che affronta il governo.
Il civic hacking in Italia, secondo Google: una timeline che lo racconta
Dall’intervento di Catherine Bracy potrebbe sembrare che queste cose accadano ovunque tranne che in Italia. Combattere questa sensazione è uno dei motivi per cui abbiamo scelto di scrivere il libro: che il civic hacking sia possibile solo all’estero è una leggenda metropolitana. Anche in Italia se ne fa e se ne è fatto molto (e se ne parla almeno dal 2010).
Ed ora la prima domanda: se è vero che si parla anche in Italia di civic hacking, come se ne parla e come se ne è parlato in questi anni?
Partiamo dalle ricerche correlate che Google propone quando cerchiamo “civic hacking” italia:
Ci sono tre gruppi semantici in questi 7 elementi:
- ricerche correlate al significato e alla definizione di civic hacking (“civic hacking definizione”, “civic hacking wikipedia”, “civic hacking significato”);
- il ruolo della persona che fa civic hacking, ovvero il “civic hacker“;
- ambiti di applicazione conosciuti del civic hacking, come il data journalism, l’Open Government e il crowdfunding civico.
Ma la domanda rimane ancora aperta: come si parla di civic hacking e come se ne è parlato in questi anni? Continua a leggere