E’ una sensazione strana, ma ogni tanto riemerge e serve buttarla giu’ in forma scritta, cosi’ magari la si ferma e la si mette a fuoco.

Si parla tanto di Enterprise 2.0. Anche a ragione ovviamente.
Ho letto un po’ dei commenti in Rete in merito all’ottimo sforzo da parte dei pochi italiani attenti a questi temi, tra cui spicca Emanuele Quintarelli, che e’ stato uno dei prodi organizzatori dell’International Forum on Enterprise 2.0 di Varese di qualche giorno fa.

Peccato non esserci stato, ma felice di poter contare sulle sintesi online, che trasmettono un po’ di dono dell’ubiquita’ a noi poveri mortali. .)

Mi ha colpito molto la riflessione di Gianandrea, dalla quale non e’ proprio possibile far emergere le cose interessanti, visto che sono troppe.
-> Enterprise 2.0 - Varese

Se per qualcuno non è ancora chiaro, spero di no, la rivoluzione che sta innescando la ICT trova i suoi maggiori ostacoli nei cambi culturali e generazionali. Non si tratta solo di tecnica, come da più di 10 si continua a ripetere nel Knowledge Management.

Forse e’ notevole citare tra gli ultimi commenti, quello di Emanuele, giusto per fissare una cosa al volo:

L’enterprise 2.0 non è una moda, perchè non risponde a nuovi problemi e forse neanche utilizza strumenti nuovi. E’ una concezione diversa di organizzazione più partecipativa, emergente, orizzontale, basata su coinvolgimento e comunità di pratica, etc etc. Qui non si tratta di software e noi personalmente non facciamo e non vediamo software, cerchiamo invece di risolvere alcuni problemi in un modo diverso, in alcuni contesti più efficace. E’ l’opportunità che guida la soluzione, non viceversa.Tutto qui.

Aggiungo una riflessione parallela, a mo’ di pensiero laterale.

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Nella parte finale del libro di Carlo Gubitosa, “Hackers scienziati e pioneri“ [ del quale parlavo qc post fa, e che adesso ho finito di leggere ], nel capitolo dove racconta la storia della nascita del Web, c’e’ un ottimo spunto per capire e catturare una delle mille sfacettature del magnifico strumento che usiamo tutti i giorni.
E che va’ consapevolmente difeso.

Quello che vorrei far emergere e’ un aspetto quasi romantico, ma assai importante per tutti noi.
Io lo chiamarei “Etica della Rete“. [ riconducibile anche a quella hacker, probabilmente… ]
Con qualcosa che faccia da spunto per discussioni nel WaveCamp, magari.
[ Vi avviso: questo e’ un post lunghetto… ]

Nel 1995, la notte tra il 30 aprile e il 1 maggio, vengono rimosse le tabelle di “routing” di NSFNet, la mappa delle “strade maestre” di Internet negli Stati Uniti, e il “backbone” finanziato dall’amministrazione federale statunitense viene disattivato in modo definitivo. In contemporanea, tutti i principali network provider statunitensi (Sprint, MCI, PSI, UUnet,Network99 e altri) trasferiscono i loro servizi presso il Network Access Point (NAP) di Washington D.C. La notizia è di quelle che travalicano il semplice significato tecnico: con il definitivo “pensionamento” della dorsale NSFNet, l’infrastruttura della rete Internet negli Usa è completamente in mano agli operatori commerciali.
[…]
Questo passaggio di consegne tra istituzioni pubbliche e aziende private è stato amaramente commentato,dal saggista Howard Rheingold:

Se le organizzazioni commerciali assumono la gestione della Rete dalle istituzioni pubbliche, chi vi avrà accesso e a chi sarà negato? Chi deciderà che cosa potranno dire e fare gli utenti della rete? Chi farà da giudice in caso di disaccordo sul diritto di accesso o sul comportamento telematico? **Questa tecnologia è stata sviluppata con denaro pubblico.** Deve esserci un limite alle tariffe che le aziende private possono imporre in futuro per farci pagare l’utilizzo di una tecnologia nata e sviluppata con il denaro delle nostre tasse? [...] Ci sono buone probabilità che i grandi centri di potere politico ed economico trovino il modo di mettere le mani anche sulle comunità virtuali, come è sempre accaduto in passato e via via con i nuovi mezzi di comunicazione. **La rete è ancora in una condizione di autonomia, ma non può rimanervi a lungo. È importante quello che sappiamo e facciamo ora, perché è ancora possibile che i cittadini del mondo riescano a far sì che questo nuovo, vitale strumento di dibattito resti accessibile a tutti prima che i colossi economici e politici se ne approprino, lo censurino, ci mettano il tassametro e ce lo rivendano**. [...] Forse in futuro gli anni Novanta verranno considerati il momento storico in cui la gente è riuscita, o non è riuscita, a cogliere la possibilità di controllo sulle tecnologie comunicative.

Gli anni Novanta sono ormai passati, e le tecnologie della comunicazione sono parte integrante della nostra vita quotidiana, utilizzate per fare la guerra o per insegnare, per trasmettere pubblicità o per condividere conoscenza, per cercare profitti personali o benefici collettivi.
Forse Howard Rheingold è stato troppo pessimista, e mi piace pensare che anche nel terzo
millennio ci rimanga ancora un po’ di tempo per decidere cosa fare di questo “ciberspazio” così bello e così potente, ma anche
così fragile e condizionabile dall’ignoranza o dalla stupidità umana.
Milioni di computer in tutto il mondo sono collegati ad una Rete che abbraccia i cinque continenti, e in ogni ora di ogni giorno dell’anno compiono il loro dovere con silenziosa efficacia. **Credo che la sfida degli anni futuri, una sfida umana prima ancora che tecnologica, sarà quella di mettere in Rete le persone dopo aver interconnesso i computer, **per sviluppare una “intercreatività collettiva” che possa davvero cambiare il mondo.

Intercreativita’ collettiva: questo e’ un aspetto che riprendero’ nel prossimo futuro, intanto segnamocelo…

Ci sono alcuni elementi salienti in queste righe, che vorrei puntualizzare:

  • Internet e il Web come tutte le tecnologie create e sviluppate per creare l’infrastruttura odierna sono un interessante connubio di sforzi personali, collettivi e di denaro pubblico, che lentamente e’ stato girato interamente ad organi commerciali e privati: occorre pero’ tenere ben presente l’aspetto di sforzo collettivo sottostante…
  • la consapevolezza della natura degli strumenti a nostra disposizione e di cosa sia giusto arrivare a pagare deriva dalla conoscenza pregressa dello sviluppo di quello che stiamo usando: ignorare questa cosa, permette di rendere comprensibile il pagamento e la lenta, ma continua perdita di tasselli e di diritti in nome del libero mercato
  • dal 1995 ad oggi, da quando cioe’ la Rete non ha piu’ dipendenze scientifiche collettive strutturali, siamo peggiorati a livello di liberta’ e di infrastruttura: non e’ un caso che la Net Neutrality stia per essere violata e messa in discussione. Questo sta capitando anche per la nostra ignoranza. Per la nostra mancanza di paletti forti e per una consapevolezza collettiva che e’ da costruire e rafforzare

Per ribadire il primo punto, vorrei citare alcune parole dell’intervento di Tim Berners Lee, alla prima conferenza sul Web:

[…]Ma ho finito per mettere in evidenza che, così come accade per gli scienziati, anche i membri della comunità di sviluppo del World Wide Web avrebbero dovuto essere eticamente e moralmente consapevoli di quello che stavano facendo. Penso che queste affermazioni siano state un po’ fuori contesto, ma le persone presenti a quella conferenza erano le sole che in quel momento stavano creando il web, e pertanto erano le sole che potevano garantire che il prodotto dei loro sistemi sarebbe stato adatto ad una società giusta e ragionevole.

Questo era il Web, dalle parole del suo creatore, e nelle direzioni che si stavano cercando di dare…
Etica del Web, forse. [ persone del w3c che lavorano alla parte sociale, da seguire ]
Ma anche molto altro.

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[ crosspost su VoIT ]

I brevetti software rappresentano un intralcio all’innovazione e una minaccia ingiusta agli sviluppatori e agli utenti del software.
Il 6 luglio, il Parlamento Europeo fortunatamente respinse una proposta per una direttiva sui brevetti software, pero’ la lotta va avanti.

Oggi abbiamo un’opportunita’ di primo livello per far sì che leader politici, mezzi d’informazione e cittadini di tutto il mondo possano comprendere l’importanza della nostra causa.
Vi preghiamo percio’ di darci il vostro voto e di aiutarci ad ottenere altri voti, affinche’ il fondatore della campagna “NoSoftwarePatents” sia eletto come Europeo dell’Anno.

La lotta va avanti e possiamo dare un contributo per il lavoro di molti che ci hanno aiutato a rimanere informati su un tema tanto scottante…

E poi volete mettere l’ironia se si riuscisse a vincere?

Sarebbe un importante passo di democrazia diretta, un esempio di far sentire la nostra voce dal basso senza intermediari…

Diffondete la voce il piu’ possibile e votate: questione di 5 minuti…


Banner per il voto contro i brevetti

AGGIORNAMENTO: un bel commento e una sintesi sulla questione nel sito di Attivazione.org:

-> Un hacker come europeo dell’ anno?

Riferimenti:
-> Vota contro i brevetti software

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Matteo Brunati

Attivista Open Data prima, studioso di Civic Hacking e dell’importanza del ruolo delle comunità in seguito, vengo dalle scienze dell’informazione, dove ho scoperto il Software libero e l’Open Source, il Semantic Web e la filosofia che guida lo sviluppo degli standard del World Wide Web e ne sono rimasto affascinato.
Il lavoro (dal 2018 in poi) mi ha portato ad occuparmi di Legal Tech, di Cyber Security e di Compliance, ambiti fortemente connessi l’uno all’altro e decisamente sfidanti.


Compliance Specialist SpazioDati
Appassionato #CivicHackingIT


Trento